La violenza sulle donne può essere fisica, verbale, ma anche economica. Non sempre una donna vittima di violenza economica o psicologica è consapevole di esserlo o sa come ribellarsi. Il Convegno Impresa Donna, che si è tenuto nel centro commerciale di Sanremo – organizzato da Confesercenti – ha riunito professionisti, provenienti da ambiti diversi, accomunati dalla volontà di non lasciare sole le donne che hanno subito – o subiscono – violenza domestica o violenza nel mondo del lavoro.
Nel primo caso, la chiave per aiutarle è l’ascolto e un sostegno psicologico: questo avviene, nella provincia di Imperia, grazie al centro antiviolenza ISV; nel secondo caso, va adottata “tolleranza zero nei confronti di chi discrimina o esercita qualsiasi forma di violenza all’interno di un’azienda” afferma Barbara Quaresmini, presidente nazionale Impresa Donna che aggiunte: “Come forma di violenza, invisibile, va annoverata anche la disparità economica che è certamente un problema nel nostro Paese”. Le proposte sul tavolo sono chiare: “L’Italia dovrebbe fare come l’Islanda – spiega Quaresmini -: pubblicare i salari delle persone. Ci deve essere trasparenza. Troppo spesso le donne vengono pagate meno degli uomini, a parità di ruolo”. Un altro problema enorme, chiarisce la presidente, è l’accesso al credito: “l’Italia è al 58esimo posto per l’accesso al credito dell’imprenditoria femminile. Ciò significa che il solo fatto di essere donna è una discriminante. Il governo deve stanziare più fondi”.
La presidente nazionale si sofferma sull’importanza di sviluppare politiche sociali: “Ci sono tante donne che hanno voglia di crescere e trovano nell’impresa delle opportunità. Ma il problema è il consolidamento. Perché se non ci sono aiuti, una donna come può portare avanti due lavori: lavorare ed essere madre? C’è bisogno di un supporto alla maternità. Una donna non deve dover scegliere tra famiglia o lavoro”. I problemi, in questo ambito, riportano l’Italia indietro negli anni: “Le donne fanno fatica ad aprire un conto corrente e questo le rende spesso dipendenti dai mariti. Se non si superano questi ostacoli, che sono anche e soprattutto culturali, difficilmente si può pensare ad un futuro fatto di emancipazione e parità di genere”, conclude l’imprenditrice.
Sulla stessa linea d’onda è Roberta Rota, coordinatrice del centro antiviolenza: “Abbiamo una mentalità che va cambiata, L’unico modo per cambiarla è fare rete tra le associazioni e tra le categorie”. Purtroppo, però, trovare il coraggio di denunciare la violenza è molto difficile, spiega: “I numeri non sono incoraggianti: in un anno, in tutta la Provincia di Imperia, 1200 donne ci hanno contattato in anonimato. Ma solo 253 hanno trovato il coraggio di sedersi di fronte a noi per essere aiutate”. Il centro antiviolenza fornisce un sostegno psicologico cercando di far sentire le donne meno sole: “Aiutiamo a far capire le emozioni, diamo gli strumenti per rompere la catena della violenza”. Catene che si spezzano solo se, nella società, si affiancano alle parole anche le azioni. C’è bisogno di politiche che non lascino sole le donne.
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